Strangozzi al tartufo
Casale di Montefalco

Gli Strangozzi sono una pasta lunga simile agli spaghetti, ma più spessi, con la superficie ruvida. Si tratta di un tipo di pasta che testimonia la sobrietà e la semplicità della cucina umbra di un tempo. Si preparano soltanto con la farina di grano tenero, acqua e sale e la loro cottura va fatta preferibilmente in abbondante acqua salata, avendo l’accortezza di non mescolare nei primi due o tre minuti di bollitura per non rompere la pasta. Il tipico condimento degli strangozzi era con un sugo di pomodoro, reso un po' piccante dal peperoncino e aromatizzato dal prezzemolo, ma ovviamente oramai vengono proposti nei ristoranti dell'Umbria con ogni tipo di salsa. Secondo alcuni, il nome potrebbe esser dovuto al fatto che tale pasta, di forma allungata, ricorda un stringa per scarpe, una sorta di laccio, che poteva essere usato anche per strangolare i preti. Va infatti ricordato che l'Umbria, pur essendo terra di Santi, è stata per secoli sotto il dominio papale, per cui era assai sviluppato un forte sentimento anticlericale.

C’è una leggenda che corre sull’origine di questo piatto, semplice ma allo stesso tempo raffinato. Sembra che sulla collina di Campello Alto (sopra le fonti del Clitunno), nel vicino castello di Pissignano, sia sostato Barbarossa prima di distruggere Spoleto. Probabilmente la cuoca del castello preparò al rosso imperatore degli strangozzi talmente buoni da convincerlo a cambiare la sua idea originale di distruggere l’Umbria.

 

Ingredienti per

- 300 gr di farina

- circa 1/2 bicchiere d'acqua tiepida

- un pizzico di sale

Per il condimento:

- 3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva

- 1 acciuga sotto sale diliscata

- 2 spicchi d'aglio

- 50 g di tartufo nero di Norcia

 

Procedimento:

Setacciate la farina sulla spianatoia, fate la fontana e mettete al centro un pizzico di sale e l'acqua. Impastate energicamente e a lungo fino a che la pasta diventa liscia e si formano sulla superficie delle bollicine d'aria. Quando è pronta, raccoglietela a palla e fatela riposare per una mezz'ora avvolta nella pellicola. Stendetela a uno spessore di un paio di mm e ritagliate delle tagliatelline di circa tre mm.

Scaldate l'olio in una padella e fate rosolare dolcemente gli spicchi d'aglio schiacciati. Appena cominciano a prendere colore, eliminateli, mantenete la fiamma al minimo e fate soffriggere l'acciuga. Fuori dal fuoco ma con l'olio ancora caldo, unite il tartufo, prima ben spazzolato, ridotto a lamelle sottilissime. Cuocete gli strangozzi in abbondante acqua salata in ebollizione, scolateli e saltateli nella padella aiutandovi con un goccio di acqua di cottura.

Storia di Casale

Pastorizia

I pastori sono una realtà assai diffusa in passato nel territorio di Casale, che a lungo ha conservato una visione quasi autarchica delle condizioni dell'economia familiare. Fino ad epoca recente, infatti, non vi esisteva famiglia "benestante" che mancasse di allevare le pecore necessarie ad assicurare latte, formaggio, ricotta, carne, a fornire buona lana da tessere o da filare oppure da destinare alla preparazione dei corredi nuziali più stimati: coltri, coperte, materassi imbottiti di morbido vello in luogo dei più modesti "sacconi" ricolmi di fibre vegetali. A queste piccole forme di pastorizia quasi sempre affidata ai bambini, si sovrapponeva quella, intensiva, di greggi in "transumanza", che durante l'inverno, lasciati i pascoli ormai brulli delle montagne, trasmigravano nelle verdi pianure di Casale attraverso la "Via delle pecore" (il tratto di Flaminia antica che lambisce queste terre). La concessione del pascolo fruttava ogni anno ai proprietari dei terreni un guadagno in natura, secondo una forma di "baratto" assai persistente nel tempo.

Olivicoltura

Fino a pochi decenni fa la raccolta delle olive era molto più tardiva rispetto a quella odierna, perché le conoscenze scientifiche e tecnologiche, meno evolute, impedivano di comprendere che a raccolta precoce (fine Ottobre), corrisponde migliore qualità del prodotto. Comunque fosse, i giorni della raccolta erano improntati ad una inimitabile concezione dell'interattività tra membri dello stesso gruppo sociale e ogni fase del lavoro si basava sul reciproco aiuto tra famiglie ("aiutarella") e si concludeva con la celebrazione gioiosa della fatica comune (Festa della Frasca). A raccolto ultimato, non c'era proprietario di uliveto, piccolo o grande, che non consentisse ai molti bisognosi di raccogliere le olive rimaste a terra o sui rami perché in ogni casa ci fosse l'olio per l'annata ("Bachetatura").

Polenta

Il "granoturco" (mais), usato oggi quasi esclusivamente per l'alimentazione integrativa degli animali da stalla o da cortile, fino ad un recentissimo passato è stato elemento basilare dell'alimentazione familiare. I suoi "chicchi", sgranati per lo più a mano o con appositi congegni, macinati in rudimentali molini domestici separati dalla crusca da un utensile speciale ("staccia"), davano la nutriente farina gialla per la polenta. Bollita in acqua salata, consumata calda o fredda essa appariva spessissimo sul desco familiare, costituendo talvoltaanche l'alimento per lo "sdigjunittu" (prima colazione) o per la "merennetta" (pasto pomeridiano). Le brattee ottenute dalla pulitura delle pannocchie ("scartocci"), talvolta usato come strame per gli animali ("littiera"), venivano assai spesso utilizzate in alterativa ai più costosi materassi, per confezionare "sacconi" per il letto. L'operazione della "scartocciatura" (separazione del frutto dalle foglie), sempre eseguita durante le ore di riposo serale e a cui partecipavano giovani, vecchi, bambini, costituiva uno dei momenti associativi più festosi e attesi dell'aia e dell'anno.

Seminatori

In passato coperta da sterminati vigneti, abitata da famiglie patriarcali che potevano suddividere la pesante cura delle vigne e della cantina, Casale perse, a poco a poco, gran parte delle sue forze operative con l'esodo dei più giovani verso più remunerativi realtà di lavoro. In quel momento, forse perché le monoculture erano meno bisognose di manodopera, forse perché gli agricoltori rimasti non si sentirono incoraggiati a partecipare alle nuove politiche territoriali che stavano creando la fortuna del vino, facendo del vino la fortuna delle aziende, il grano, il mais, l'orzo e i foraggi si sostituirono ai vigneti, dando alle campagne di Casale l'attuale assetto.

Bucato

Il lavaggio dei capi più importanti di biancheria (lenzuola e tovaglie di spessa canapa tessuta in casa) aveva in genere scadenza mensile, impegnava tutte le donne della famiglia e avveniva spesso nel lavatoio pubblico, oggi scomparso da Casale e a cui la tradizione popolare dava il nome di "Fonte di Santa Chiara". Si possono trovare dei resti di tale fontana nelle campagne di Casale. Dopo li lavaggio in acqua e sapone (rigorosamente confezionato in casa con il recupero dei grassi residui della mattanza dei maiali), i "panni", accuratamente piegati, venivano posti in capaci catini e coperti da uno spesso strato di cenere depurata. Il recipiente veniva poi riempito di acqua bollente, i panni venivano delicatamente pressati con un bastone perché "prendessero la cenere" ed infine coperti con un pesante coperchio di legno. L'immersione nella cenere ("cenerata") durava un'intera notte: al mattino, ormai candeggiati, erano pronti per essere stesi ad asciugare nell'aia. Ed era una gara, tra donne, mostrare il bucato più bianco.

 

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